Róisín Murphy – Hairless Toys

Róisín Murphy – Hairless Toys
- Voto: 84 su 100
- Anno: 2015
- Genere: Electropop, Pop sperimentale, Art pop 
- Influenze principali: Musica elettronica (Intelligent Dance Music, Deep house, Downtempo, Trip hop), Funk



A cura di Alessandro Narciso

Due dei capisaldi della produzione musicale di Róisín Murphy sono l’eclettismo e la volontà di giocare con, e superare i limiti de, gli schemi imposti dal pop da classifica. Per capirlo basta ascoltare le sue precedenti uscite: Ruby Blue (2006) è composto da canzoni che racchiudono un caleidoscopio di sperimentazioni e influenze eterogenee, quasi impossibile da categorizzare in uno stile specifico; Overpowered (2008) è una collezione di bellissimi brani synthpop/dance che, apparentemente più convenzionali, danno invece un’interpretazione peculiare del genere. Non è un caso se svariati rimandi a Róisín Murphy, sia musicali che d’immagine, spuntino fuori un po’ fra tutte le popstar contemporanee: sebbene lei stessa sia troppo peculiare per scalare le classifiche e conquistare il pubblico mainstream, le innovazioni che Róisín porta periodicamente alla scena pop si rivelano seminali, specie per le artiste che vogliono aggiungere una certa ricercatezza ai loro prodotti (Lady Gaga in primis).
Il penultimo full length di Róisín Murphy, Hairless Toys, arriva distanza di otto anni da “Overpowered”, dopo una pioggia di singoli estemporanei seguiti dall’EP Mi Senti (2014), che contiene cover molto personalizzate di brani storici italiani. Hairless Toys è un album che sintetizza il percorso che Róisín ha compiuto fin qui, attingendo agli schemi imprevedibili e all’eterogeneità di “Ruby Blue” e interpretandoli secondo il sofisticato (e più coeso) sound elettronico di “Overpowered”: il mix offerto è molto intrigante.

La volontà di concedersi più di qualche rischio rispetto al pop mainstream è evidente già dalla durata dei brani: su otto canzoni, solo una, “Exile”, dura meno di cinque minuti, tre vanno oltre i sei e una, “Exploitation”, addirittura supera i nove – ed è stata scelta come singolo di lancio! Una lunghezza, questa, mai verbosa, ma sempre funzionale alla struttura dei brani.
Nel complesso, l’approccio alla parte strumentale è abbastanza minimale, più ritmico che melodico, lasciando alla voce spesso stratificata di Róisín il compito di condurre le melodie; tuttavia, oltre a una presenza costante dei sintetizzatori, non manca una certa diversità di strumenti, che variano a seconda di quanto richiesto dal mood dei singoli brani. Se l’episodio più pop e accattivante, “Gone Fishing”, è relativamente “semplice” (per quanto questa parola sia sempre opinabile nella musica di Róisín), dominato da beat e synth, il funk di “Evil Eyes” è enfatizzato dall'uso prominente del basso, mentre gli agili arpeggi di un pianoforte spesso distorto e della chitarra arricchiscono “Exploitation”, dandole, assieme alla progressione di accordi retrò, un sapore jazz. “Uninvited Guest” ha un approccio più sperimentale, dominato da un basso sincopato, parti fischiettate e solo qualche sprazzo di note musicali di contorno, la controparte perfetta per la rilassatezza minimalista di “House Of Glass”, affidata invece a lunghi accordi di sintetizzatore, una chitarra piuttosto melodica e un beat (almeno inizialmente) molto soffuso e sottotono, per quanto rapido.
Non mancano anche pezzi lenti veri e propri: il tre quarti rilassante di “Hairless Toys (Gotta Hurt)” vede protagonisti pianoforte e organetto; “Exile” è un’eclettica ballad dal sapore country, con particolare enfasi sulle chitarre elettriche non distorte, ed è uno degli episodi più melodici dell’album assieme alla magnifica “Unputdownable”, che chiude l’album in bellezza con un’alternanza di pianoforte e chitarra acustica e, sul finale, un bel clarinetto.

La vera protagonista del disco è indubbiamente la voce di Róisín, in una performance impeccabile sia quanto a tecnica che espressività. L’uso oculato di filtri e distorsioni vocali non impedisce di apprezzarla ma, al massimo, contribuisce al mood dei brani adattandosi alla texture predominate: ad esempio, sono prominenti nella soffusa title track o nella stratificata “Evil Eyes”, ma praticamente assenti nelle tendenzialmente più acustiche “Exile” e “Unputdownable”.

L’enfasi che la parte strumentale dà alla sessione ritmica rispetto a quella melodica è tuttavia un po’ anche il tallone d’Achille dell’album: se da una parte lascia alla voce di Róisín lo spazio che indubbiamente merita, dall’altra rende le melodie un po’ rarefatte e difficili da identificare e seguire. Il risultato è un album dall’anima sicuramente pop, ma in qualche modo criptico: ci vuole più di un ascolto per coglierne le sfumature e iniziare ad apprezzarlo a dovere. Hairless Toys è riservato a palati fini, che amano le sfide e sono pronti ad aspettarsi una sorpresa ad ogni nuovo ascolto.