White Sea – This Frontier [EP]

White Sea – This Frontier
- Voto: 67 su 100
- Anno: 2010
- Genere: Indie Pop
- Influenze principali: Synthpop, Dreampop, Shoegaze, Ambient



A cura di Alessandro Narciso

La genesi di White Sea, l’alias che la statunitense Morgan Kibby utilizza al momento, è interessante.
Nasce nel periodo in cui la talentuosa cantante, polistrumentista e compositrice militava nella band elettronica francese M83 e doveva essere una specie di side project per giocherellare con la produzione remixarndo la musica altrui nei ritagli di tempo che la band le lasciava. Ben presto, però, ha cominciato a camminare sulle sue gambe come vessillo per la musica di Morgan, e così è nato This Frontier.

Questo EP di cinque tracce è, nel bene e nel male, figlio della situazione professionale e artistica in cui la cantante si trovava all’epoca: Morgan proveniva da un contesto classico culminato nel 2007 con …And The Moon Was Hungry… della sua band precedente, i The Romanovs, e aveva appena ricevuto il “battesimo” nell’elettronica collaborando con la band di Anthony Gonzalez; inoltre, era un membro a tempo pieno degli M83 e una carriera solista vera e propria non era in vista. Combinati, questi due fattori danno a This Frontier un senso di estemporaneità: è una raccolta di qualsiasi pensiero musicale Morgan stesse avendo al momento senza troppe preoccupazioni per la coerenza, una direzione musicale percorribile in futuro o una classificazione netta. Per fortuna, però, è proprio quest’assenza di limiti il punto forte delle canzoni prese singolarmente: Morgan esplora un genere per lei nuovo, accostando qualsiasi nuova influenza interessante al suo background musicale, e l’entusiasmo si trasmette alla musica. Il risultato è accattivante, fresco, vivace e non ha paragoni nella scena contemporanea.

Mountaineer”, la traccia d’apertura, ha un sound indie trainato dalla chitarra acustica nelle strofe, con spruzzate di elettronica che diventano più marcate nei ritornelli. Tuttavia, le sue radici affondano saldamente nel periodo classico di Morgan, esplorato dall’elemento predominante della canzone: le bellissime polifonie vocali, sia in sottofondo, dove sfiorano il cantato a canone, sia nelle linee vocali principali. Dall’altra parte dello spettro c’è “Ladykiller”, che esplora con più fermezza le nuove suggestioni elettroniche con un beat vivace, una profusione di sintetizzatori, una linea di basso dal chiaro sapore disco, qualche sviolinata Anni Settanta e anche dei piccoli gemiti di Morgan, che si contrappongono a una linea vocale più semplice del solito; eppure, l’uso delle campane nella sessione ritmiche conserva quel sapore indie pop e semi-acustico che predomina sul disco, deviando la canzone da una direzione completamente elettronica. Overdrawn è simile nell’approccio: si basa su un riff di sintetizzatore che richiama un po’ i Goldfrapp del periodo Black Cherry, ma le armonie vocali di sottofondo e qualche sprazzo di vibrafono le danno un gusto molto personale e aggiungono spensieratezza a una melodia frizzante.
Le chitarre e le tracce vocali riverberate della bellissima “Cannibal Love” aggiungono un tocco shoegaze a una canzone dal ritmo inizialmente veloce ma discreto, scandito più da controcanti, campanelle e xilofono che dalla sessione ritmica vera e propria; beat e batteria diventano più prominenti a partire dal secondo ritornello, iniziando un crescendo che s’intensifica nei vocalizzi e negli archi del bridge per raggiungere un intenso culmine con gli ultimi ritornelli. Anche qui, sono le armonie della voce di Morgan, sia nella linea principale che in sottofondo, a dominare la canzone, e aggiungono emozione a una melodia già da brividi.
A concludere l’EP è “Oljato”, uno strumentale ambient che a un ipnotico riff di chitarra riverberata aggiunge gentili ondate di sintetizzatore che richiamano quasi il mare, in un crescendo che prelude ai vocalizzi di Morgan. È una traccia molto evocativa che funge da vera e propria nutro e dà un po’ di coesione alla struttura dell’EP nel complesso.

Ed è proprio quella il tallone d’Achille dei This Frontier: non ha una struttura vera e propria. È più una raccolta di cinque brani a sé stanti nei quali Morgan sperimenta con elementi eterogenei per prenderci familiarità. Possiamo definirlo così, un prototipo: è Morgan che sonda il terreno per vedere che possibilità la sua nuova direzione musicale le apre senza sapere se, quando, come e cosa avrebbe avuto un seguito.
In retrospettiva, è il tratto d’unione fra il baroque pop dei The Romanovs e il synthpop più definito arrivato quattro anni dopo col primo full length di White Sea, In Cold Blood. È un momento di transizione stilistica, ma che propone canzoni godibili, dalle melodie accattivanti arrangiate in maniera originale. Anche se sembra un po’ fuori da qualsiasi contesto e non dà un’idea precisa di cosa Morgan voglia fare della sua musica, alla fin fine risulta peculiare e un po’ bizzarro, piuttosto che né carne né pesce.
L’intero, insomma, non sarà brillante quanto la somma delle sue parti, ma ragazzi, che parti!