
- Voto: 86 su 100
- Anno: 2017
- Genere: Electropop, Synth pop
- Influenze principali: Dance pop, Synth Rock, Indie pop
A cura di Alessandro Narciso
Sono passati tre anni da In Cold Blood, il primo full length di White Sea, ma Morgan Kibby non si è certo seduta a pettinare le bambole: oltre a prestare le sue doti autoriali a colonne sonore e ad altri artisti (tra le canzoni che portano la sua firma abbiamo una b-side dell’ultimo singolo degli M83 e, l’anno scorso, alcune fra le tracce meglio riuscite dell’ultimo album dei Panic! At The Disco), è stata attiva anche col suo progetto solista. Tra luglio 2015 e ottobre 2016 ha infatti pubblicato tre “trittici” di singoli. Ovvero, ha scritto, registrato e immediatamente pubblicato le canzoni a gruppi di tre, ciascuno nell’arco di un paio di mesi, piuttosto che lasciarle ferme nel suo computer per un anno o più, in attesa di aver completato abbastanza materiale per un album intero – cosa che aveva trovato frustrante durante la lavorazione di In Cold Blood.
Fortunatamente per chi è ancora affezionato al vecchio formato musicale, però, a queste nove canzoni se ne sono aggiunte altre due e sono state raccolte sotto il titolo di Tropical Odds: White Sea ha finalmente un secondo album nel senso tradizionale del termine.
Una cosa interessante di Tropical Odds è che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da un progetto registrato e pubblicato inizialmente “alla spicciolata”, ha una notevole coerenza stilistica e qualitativa. L’idea di realizzare “trittici” di canzoni è vincente perché ciascun gruppo ha una coesione interna e, mischiati assieme, creano un disco vario ma non dispersivo. L’elettronica fa da filo conduttore principale ma, nella sua varietà, l’album non ha paura di incorporare elementi che Morgan sembrava essersi lasciata alle spalle. Per esempio, Tropical Odds riprende molto più di In Cold Blood il discorso dell’EP This Frontier, ovvero la commistione tra indie pop semi-acustico ed elettronica, ma lo fa in maniera più matura, coerente e direzionata; e non mancano anche suggestioni classicheggianti che richiamano gli ormai distanti giorni dei The Romanovs.
L’ottimo equilibrio di elementi è evidente già nelle prime due tracce: “Bloodline” si apre su un bel riff di pianoforte con qualche accordo di synth e mescola perfettamente elementi elettronici e acustici (come la chitarra sul bridge) senza che nessuno predomini nel sostenere le linee vocali e le stupende polifonie dei ritornelli. “Arcadia”, d’altro canto, coniuga gli opposti: il ritmo è decisamente ballabile ma, a livello strumentale, predomina la chitarra, con giusto qualche sprazzo di tastiere. Anche qui, la performance canora di Morgan è davvero notevole, sia nelle tracce di background che la bella linea vocale principale.
L’album abbraccia appieno il suo lato electropop con le tre canzoni successive, ma dandogli un’interpretazione diversa rispetto a In Cold Blood: i ritmi ballabili sono affiancati da batteria acustica e qualche occasionale riff di chitarra e basso sia in “Yesterday”, che ha una melodia ispirata e riprende il sound dance dal retrogusto Anni Ottanta dell’album precedente, sia in “Stay Young, Get Stoned”, che col suo electropop solare e orecchiabile è l’episodio più danzereccio di Tropical Odds, sia nell’uptempo e nel ritornello altamente contagioso di “Never A Woman”, il cui bridge offre un buon assolo di chitarra elettrica.
“Bloodmoon” è una delle tracce meglio riuscite del disco: inizia con un giro di sintetizzatore impreziosito dal vibrafono e si mantiene piuttosto minimale per tutta a strofa, prima che un ritmo vivace introduca il ritornello, dove il synth si trasforma in un arpeggio dal vago sapore classico e la linea vocale si armonizza. Anche strutturalmente è una canzone interessante: il climax vero e proprio è sul bridge e non sull’ultimo ritornello, che invece sfuma in diminuendo strumentale fino all’outro. Altra highlight è “Ellipses”, che col suo riff di chitarra elettrica riverberata inizia quasi come una canzone soft rock. Il beat rimane sempre piuttosto calmo e fornisce un ottimo contrasto ai wub sintetici dal sapore techno; ancora una volta, è l’ottima performance vocale di Mogan, stratificata e armonizzata, a dare il tocco finale e condurre la canzone.
Il mood malinconico continua nella successiva “Secret”, un lento che mostra influenze classiche sia nella progressione degli accordi, sia nel synth, che campiona l’arpa e archi, ma soprattutto nell’accoppiata di organetto e vocalizzi dell’outro. Anche l’influenza indie è ben presente con un accenno di chitarra acustica e una bella linea di basso, ma è più evidente in “Gangster No. 1”: questa canzone, che si apre con synth di archi, coniuga un ritmo languidamente ballabile con una parte strumentale abbastanza minimalista dominata spesso dal pianoforte, e richiama un po’ il sapore di This Frontier ma in maniera molto più raffinata.
Le ultime due canzoni del disco sono le aggiunte più recenti e condividono alcune similarità: entrambe sono tematicamente molto intime – parlano del rapporto di Morgan con i genitori – e sono due ballad opposte e complementari. La magnifica “One Bad Eye” è infatti per lo più acustica, dominata da chitarra e archi con giusto una leggera texture elettronica (è la stessa chitarra con le singole note invertite in sottofondo) e giusto un accenno di tastiera nella seconda metà finale. L’ottima melodia e l’espressiva interpretazione di Morgan la rendono una delle canzoni più emozionanti dell’album. “Lessons”, d’altra parte, è una downtempo elettronica che si apre con un beat riverberato ed è dominata dai synth. Trova tuttavia spazio per un accenno di chitarra elettrica e l’interpretazione vocale è altrettanto potente. Ancora una volta, queste due canzoni mostrano come Morgan riesca a giostrare bene le diverse influenze del disco per scacciare la noia senza perdere il filo del discorso.
Se già In Cold Blood era un’ottima personalizzazione dell’electropop dei primi Nuovi Anni Dieci, Tropical Odds porta il sound di White Sea al livello successivo rendendolo molto più peculiare. È un album dalla palette sonora ricca quanto quella emotiva e mostra come la padronanza dell’elettronica che Morgan aveva già dimostrato con l’album precedente sia cresciuta e le abbia permesso di trascendere le facili etichettature di genere per creare della musica inconfondibile.
Fortunatamente per chi è ancora affezionato al vecchio formato musicale, però, a queste nove canzoni se ne sono aggiunte altre due e sono state raccolte sotto il titolo di Tropical Odds: White Sea ha finalmente un secondo album nel senso tradizionale del termine.
Una cosa interessante di Tropical Odds è che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da un progetto registrato e pubblicato inizialmente “alla spicciolata”, ha una notevole coerenza stilistica e qualitativa. L’idea di realizzare “trittici” di canzoni è vincente perché ciascun gruppo ha una coesione interna e, mischiati assieme, creano un disco vario ma non dispersivo. L’elettronica fa da filo conduttore principale ma, nella sua varietà, l’album non ha paura di incorporare elementi che Morgan sembrava essersi lasciata alle spalle. Per esempio, Tropical Odds riprende molto più di In Cold Blood il discorso dell’EP This Frontier, ovvero la commistione tra indie pop semi-acustico ed elettronica, ma lo fa in maniera più matura, coerente e direzionata; e non mancano anche suggestioni classicheggianti che richiamano gli ormai distanti giorni dei The Romanovs.
L’ottimo equilibrio di elementi è evidente già nelle prime due tracce: “Bloodline” si apre su un bel riff di pianoforte con qualche accordo di synth e mescola perfettamente elementi elettronici e acustici (come la chitarra sul bridge) senza che nessuno predomini nel sostenere le linee vocali e le stupende polifonie dei ritornelli. “Arcadia”, d’altro canto, coniuga gli opposti: il ritmo è decisamente ballabile ma, a livello strumentale, predomina la chitarra, con giusto qualche sprazzo di tastiere. Anche qui, la performance canora di Morgan è davvero notevole, sia nelle tracce di background che la bella linea vocale principale.
L’album abbraccia appieno il suo lato electropop con le tre canzoni successive, ma dandogli un’interpretazione diversa rispetto a In Cold Blood: i ritmi ballabili sono affiancati da batteria acustica e qualche occasionale riff di chitarra e basso sia in “Yesterday”, che ha una melodia ispirata e riprende il sound dance dal retrogusto Anni Ottanta dell’album precedente, sia in “Stay Young, Get Stoned”, che col suo electropop solare e orecchiabile è l’episodio più danzereccio di Tropical Odds, sia nell’uptempo e nel ritornello altamente contagioso di “Never A Woman”, il cui bridge offre un buon assolo di chitarra elettrica.
“Bloodmoon” è una delle tracce meglio riuscite del disco: inizia con un giro di sintetizzatore impreziosito dal vibrafono e si mantiene piuttosto minimale per tutta a strofa, prima che un ritmo vivace introduca il ritornello, dove il synth si trasforma in un arpeggio dal vago sapore classico e la linea vocale si armonizza. Anche strutturalmente è una canzone interessante: il climax vero e proprio è sul bridge e non sull’ultimo ritornello, che invece sfuma in diminuendo strumentale fino all’outro. Altra highlight è “Ellipses”, che col suo riff di chitarra elettrica riverberata inizia quasi come una canzone soft rock. Il beat rimane sempre piuttosto calmo e fornisce un ottimo contrasto ai wub sintetici dal sapore techno; ancora una volta, è l’ottima performance vocale di Mogan, stratificata e armonizzata, a dare il tocco finale e condurre la canzone.
Il mood malinconico continua nella successiva “Secret”, un lento che mostra influenze classiche sia nella progressione degli accordi, sia nel synth, che campiona l’arpa e archi, ma soprattutto nell’accoppiata di organetto e vocalizzi dell’outro. Anche l’influenza indie è ben presente con un accenno di chitarra acustica e una bella linea di basso, ma è più evidente in “Gangster No. 1”: questa canzone, che si apre con synth di archi, coniuga un ritmo languidamente ballabile con una parte strumentale abbastanza minimalista dominata spesso dal pianoforte, e richiama un po’ il sapore di This Frontier ma in maniera molto più raffinata.
Le ultime due canzoni del disco sono le aggiunte più recenti e condividono alcune similarità: entrambe sono tematicamente molto intime – parlano del rapporto di Morgan con i genitori – e sono due ballad opposte e complementari. La magnifica “One Bad Eye” è infatti per lo più acustica, dominata da chitarra e archi con giusto una leggera texture elettronica (è la stessa chitarra con le singole note invertite in sottofondo) e giusto un accenno di tastiera nella seconda metà finale. L’ottima melodia e l’espressiva interpretazione di Morgan la rendono una delle canzoni più emozionanti dell’album. “Lessons”, d’altra parte, è una downtempo elettronica che si apre con un beat riverberato ed è dominata dai synth. Trova tuttavia spazio per un accenno di chitarra elettrica e l’interpretazione vocale è altrettanto potente. Ancora una volta, queste due canzoni mostrano come Morgan riesca a giostrare bene le diverse influenze del disco per scacciare la noia senza perdere il filo del discorso.
Se già In Cold Blood era un’ottima personalizzazione dell’electropop dei primi Nuovi Anni Dieci, Tropical Odds porta il sound di White Sea al livello successivo rendendolo molto più peculiare. È un album dalla palette sonora ricca quanto quella emotiva e mostra come la padronanza dell’elettronica che Morgan aveva già dimostrato con l’album precedente sia cresciuta e le abbia permesso di trascendere le facili etichettature di genere per creare della musica inconfondibile.