
- Voto: 85 su 100
- Anno: 2010
- Genere: Synth pop
- Influenze principali: Chamber pop, Art pop, Disco Lento, Dance music
Camicia perfettamente stirata. Completo dalla piega impeccabile. Scarpe tirate a lucido. Mento accuratamente rasato. Non un capello fuori posto. Espressione “brooding”, un misto di malinconico, meditabondo e cupo. È con questa immagine da perfetti gentleman britannici piagati dall’ennui de vivre che gli Hurts danno alle stampe nel 2010 il loro album di debutto, intitolato Happiness.
Il duo, costituito dal cantante Theo Hutchcraft e dal tastierista e chitarrista Adam Anderson, nasce ufficialmente nel 2009 dalle ceneri dei Daggers, a loro volta derivati dai Bureau, con cui i due musicisti avevano iniziato a costruirsi un seguito nella scena elettronica di Manchester a partire dal 2006. L’unica testimonianza rimasta dei Daggers è un bootleg intitolato If Looks Could Kill (circa 2008-2009), che presenta un electropop molto upbeat dalle forti influenze Anni Ottanta accompagnato da un look più da strada, fra giacche in pelle, capelli a spazzola e guyliner. Insoddisfatti della direzione musicale, i due interrompono il progetto, salutano gli altri tre membri del quintetto, scrivono una canzone catartica e, durante un viaggio a Verona, scoprono l’ingrediente mancante della loro musica: il “disco lento”, una pesante sinterizzazione su ballate malinconiche in voga in Italia nei primi Anni Novanta.
Ri-brandizzati come Hurts, pubblicano su MySpace un video amatoriale per una nuova canzone, “Wonderful Life”, letteralmente solo loro due che suonano mentre una ballerina fa una coreografia a inquadratura fissa, e il clip diventa virale. La stampa specializzata si occupa di loro, il buzz telematico aumenta e finalmente arriva il contratto con una sussidiaria della Sony che porta alla registrazione e pubblicazione di Happiness.
Si è posta enfasi sull’immagine degli Hurts perché è una perfetta rappresentazione visiva della loro proposta musicale: un synth pop posh, molto levigato, dalle ritmiche per lo più lente, con un evidente gusto classico affidato a lussureggianti arrangiamenti per fiati e quartetto d’archi (portati anche in tour per non togliere genuinità al sound dal vivo). La copertina è emblematica: un ritratto monocromatico dei due musicisti che siedono a un tavolo guardando nel vuoto, vestiti di tutto punto, di fronte a un grigio che sfuma nel bianco. Pur con le sue mille sfumature, ora più cupe, ora più brillanti, la musica sull’album mantiene sempre un’atmosfera malinconica e patinata, dimostrando grande coesione senza scadere nella ripetitività.
La qualità di Happiness è evidente già dalle due tracce d’apertura, “Silver Lining” e la già citata “Wonderful Life”. Introducono bene il sound della band, mostrando la cura e ricchezza degli arrangiamenti dei sintetizzatori, e sfruttano al meglio la formula pop, con qualche sovversione nella struttura e nella distribuzione dei picchi emotivi per non annoiare l’ascoltatore. A differenziarle è il tono: “Silver Lining” punta sulla solennità con un ricco bouquet di metallofono, chitarra acustica, pianoforte, violini e, soprattutto, cori – questi ultimi acquistano prominenza e forniscono un climax mozzafiato nella coda del brano. Nonostante il beat vivace, “Wonderful Life” suscita invece un senso di malinconia grazie a una performance vocale quasi apatica da parte di Theo, che crea un intrigante contrasto con il testo dei ritornelli, e un bell’assolo di sassofono sul bridge e sulla coda: è proprio l’unione di grande orecchiabilità e forte impatto emotivo ad averla resa un singolo di successo.
Notevoli sono anche gli episodi dance. “Better Than Love” è un’eredità dei Daggers e ne riprende le atmosfere Anni Ottanta con una texture stratificata e un riff di sintetizzatore che ne accompagna l’intera lunghezza. Strutturalmente, gioca con le aspettative dell’ascoltatore variando ogni volta il ritornello con aggiunte o piccole pause per far prendere respiro prima di risolvere la tensione. “Sunday” coniuga invece ritmo ballabile e synth con ottimi archi, lenti e legati sulle strofe, rapidi e staccati neri ritornelli, dando una personalità inconfondibile a quello che potrebbe essere un ottimo inno da dancefloor.
“Devotion” è invece un bel lento ballabile che inizia con un synth vintage e si snoda sensuale accompagnato da accordi di pianoforte. La vera sorpresa, però, è l’arrivo di Kylie Minogue in persona, la cui voce inconfondibile si alterna e poi si armonizza con quella di Theo sulla seconda strofa. Volendo trovare una pecca, l’occasione è in parte sprecata sul ritornello, in cui Kylie e Theo cantano all’unisono, ma il magnifico intreccio di vocalizzi e sussurri nella coda vi pone facilmente rimedio.
Il punto di maggior forza di Happiness, però, sono le ballad, che coniugano l’anima synth del disco con una gran varietà di stili, influenze e strutture. “Blood, Tears & Gold”, ad esempio, attinge ad atmosfere da ballata soft rock grazie alla prominenza della chitarra riverberata. Dopo una strofa molto quieta e ricca di backing vocals armonizzate, la bella melodia del ritornello, con i suoi tocchi di pianoforte, la trasforma in un altro singolo di successo.
La power ballad “Stay” è diventata un vero e proprio classico degli Hurts: con una melodia solare che fa da contrasto alla malinconia del pianoforte e dei rumori ambientali di sottofondo, ha un ritornello iconico alle cui linee vocali risponde il coro – e dal vivo diventa uno dei migliori momenti di interazione col pubblico. Il progressivo arricchirsi della texture le dà flusso e la rende uno dei momenti più emozionanti dell’album.
Un’altra highlight è “Illuminated”, che coniuga synth, morbide chitarre elettriche e archi in un’ottima melodia dal ritmo sensuale. Il bel ritornello orecchiabile sfocia, nella seconda metà, in un bridge che, arricchito da stratificazioni vocali, funge anche da coda e climax del brano, prima di spegnersi in una bella outro di violini.
Molto bene anche l’approccio minimalista: “The Water” conclude infatti l’album con un tocco intimo affidato a soli piano, voce e archi – questi ultimi davvero notevoli dopo il secondo ritornello, con una ripresa del tema che sfocia in una bella coda con vocalizzi di sottofondo. L’effetto è molto “confidenziale” e accompagna bene il testo, che parla con candore della paura dell’acqua.
Infine, è bene parlare di due canzoni che ignorano del tutto la tipica struttura pop. Una è “Unspoken”, la famosa canzone catartica post-scioglimento dei Daggers che ha piantato il seme degli Hurts veri e propri. È strutturata in due movimenti, il primo più minimale e synth nella parte strumentale, il secondo più chamber pop, dominato da belle orchestrazioni; ottime anche le linee vocali, che seguono due temi diversi nei rispettivi movimenti, anche loro in crescendo per intensificare l’impatto emotivo in vista del climax finale.
Il crescendo è il segreto anche della magnifica “Evelyn”. Strofa e ritornello, entrambi molto brevi, si prestano a variazioni nella lunghezza e nella combinazione, in un costante crescendo dato anche dall’intensificarsi della texture sonora: synth, organetto, pianoforte, archi, vocalizzi e perfino arpa arricchiscono progressivamente la traccia inseguendo il beat sempre più frenetico, raggiungendo più di un culmine mozzafiato negli interludi strumentali prima di arrivare a un’outro che riprende il tema principale. È, insomma, una delle canzoni che meglio illustra come la musica degli Hurts sia calibrata al meglio per emozionare l’ascoltatore.
Le sessioni di registrazione di Happiness hanno prodotto anche molto materiale bonus, usato come b-side dei singoli e raccolto nell’edizione deluxe dell’album. Abbiamo altre due ballate, “Verona” e “Affair”. La prima, presente già nell’edizione regolare come hidden track dopo “The Water”, si apre con i rumori ambientali della riva di un fiume (l’Adige?) e presenta una melodia ottimista in cui voce e pianoforte fanno da protagonisti accompagnati da archi, coro e un fantastico tremolo di chitarra nella ripresa. La seconda flirta con le sonorità post-rock delle belle chitarre riverberate e sorprende l’ascoltatore con misure inusuali nel ritornello.
Arrangiamenti, melodie e testi lavorano in perfetta sinergia in “Happiness”, la title track, e “Mother Nature”. La prima esprime il rifiuto per la felicità superficiale e facile da ottenere venduta dai media con un ritmo urgente, un martellante vibrafono e chitarre soft rock, mentre la seconda descrive il conflitto fra l’antropizzazione e la natura con una melodia dolceamara e una ricca palette sinfonica in cui, al pianoforte, si affiancano nervosi fraseggi di archi e cori maschili.
Theo ha ammesso che la collaborazione con Kylie Minogue è stata per lui un’emozione incredibile perché è un grande fan. E infatti, fra le bonus track troviamo anche una studio live cover di “Confide In Me” (da Kylie Minogue, 1994), reinterpretata in chiave dark con un beat di batteria elettronica, pianoforte, lussureggianti archi e interventi di vibrafono. A concludere, il singolo natalizio per tutti quelli che non amano le feste: “All I Want For Christmas Is New Year’s Day”. L’atmosfera stagionale è conservata dall’uso di campanelle, un vivace pianoforte e una melodia allegra che contrasta con un testo che parla di come no, la gioia delle feste comandate non scacci il malessere: la soluzione è sperare che l’anno nuovo porti delle novità concrete.
Si è accennato ad alcuni testi parlando di come lavorino in sinergia con melodie e arrangiamenti per creare canzoni emotivamente soddisfacenti: non solo gli esempi di cui sopra, ma l’intero album ha molto da offrire anche nelle parole. Si è parlato del tono apatico con cui “Wonderful Life” viene cantata, e parla infatti di una donna che si innamora di uno sconosciuto che sta per gettarsi da un ponte: il testo è scritto come se si assistesse alla scena sentendo pezzi di conversazione (“Le dice che ha problemi e, se non le dispiace, non ha voglia di compagnia”) fino a che non è lui a decidere di accettare la consolazione che gli viene offerta. “Blood, Tears & Gold”, “Affair” e “Unspoken” affrontano con un’onestà quasi brutale l’inevitabilità della fine di certi rapporti, senza che né i sentimenti né i chiarimenti possano salvarli, mentre in “Sunday”, “Stay” e “Devotion” c’è ancora la speranza di sistemare le cose. “Silver Lining” è una promessa di sostegno anche quando la situazione sembra disperata, “Illuminated” invita ad abbassare le difese per concedersi anche solo un momento di gioia senza paura della vulnerabilità. “Evelyn” è tratta da un’esperienza reale e racconta di come un’infermiera, per quanto sconosciuta, possa dare conforto su un letto d’ospedale, mentre “Better Than Love” parla con molta eleganza di una one night stand. La varietà, quindi, non è solo a livello musicale, ma anche tematico ed emotivo, offrendo numerosi spunti di immedesimazione che avvicinano ancora di più il disco all’ascoltatore.
In sostanza, quindi, Happiness ha tutto: ottime melodie, arrangiamenti curati e funzionali, testi interessanti e una ricca palette emotiva che fa da catarsi a momenti che tanto felici non sono. Confezione e contenuto sono molto eleganti, e perfino il materiale bonus è un’ottima aggiunta a un album che offre molto già in versione standard. Si tratta di un debutto solido che si muove a suo agio nel pop ma lo innalza a un livello superiore.
Alessandro Narciso