- Anno: 2020
- Genere: Dark electropop, Melodic trap, Ambient pop, Downtempo, Indie pop acustico
- Influenze principali: Ethereal wave, Witch house, Chillstep, Trip hop, Musica d'ambiente
Roniit è una cantautrice indipendente statunitense. Ha esordito nel 2011 con un album omonimo autoprodotto che, nonostante i testi poco maturi, il budget estremamente ridotto e i suoni conseguentemente poco rifiniti, ha messo in mostra personalità e originalità; infatti i brani "Infernal Anxiety", "Stronger" e "Tomorrow" spiccano con il loro dark synthpop. Dopo la pubblicazione dell'EP In The Shadows, nel 2012, Roniit si è dedicata soprattutto a collaborazioni come vocalist per producer/Dj e persino per una band technical death metal (i Fallujah, nell'album The Flash Prevails).
Fra 2014 e 2017 ha ripreso in mano il proprio progetto solista con dei singoli isolati, ma legati tematicamente fra loro, in cui ha reso più moderno e cesellato il proprio sound: si tratta dell'ottimo "Runaway", ben prodotto da Varien e caratterizzato da un'elettronica sensuale, "Through the Night", in collaborazione col producer melodic dubstep Trivecta, e gli autoprodotti "Rise" e "One Last Time". Dopo aver pubblicato anche delle cover, fra cui quelle di "Lovefool" dei The Cardigans, di "The Beautiful People" dei Marylin Manson e di "Not Afraid Anymore" di Halsey, nel 2019 Roniit è tornata con l'ottimo singolo autoprodotto "Visceral". Quest'ultimo, con le sue linee vocali ariose e sussurrate e con la sua elettronica avvolgente, oscura e cadenzata, anticipa chiaramente lo stile dell'album successivo. In effetti, non capisco perché sia stato escluso da XIXI ("Eleven-eleven"), pubblicato nel gennaio 2020.
Fra 2014 e 2017 ha ripreso in mano il proprio progetto solista con dei singoli isolati, ma legati tematicamente fra loro, in cui ha reso più moderno e cesellato il proprio sound: si tratta dell'ottimo "Runaway", ben prodotto da Varien e caratterizzato da un'elettronica sensuale, "Through the Night", in collaborazione col producer melodic dubstep Trivecta, e gli autoprodotti "Rise" e "One Last Time". Dopo aver pubblicato anche delle cover, fra cui quelle di "Lovefool" dei The Cardigans, di "The Beautiful People" dei Marylin Manson e di "Not Afraid Anymore" di Halsey, nel 2019 Roniit è tornata con l'ottimo singolo autoprodotto "Visceral". Quest'ultimo, con le sue linee vocali ariose e sussurrate e con la sua elettronica avvolgente, oscura e cadenzata, anticipa chiaramente lo stile dell'album successivo. In effetti, non capisco perché sia stato escluso da XIXI ("Eleven-eleven"), pubblicato nel gennaio 2020.
Roniit ha composto XIXI meditando a notte fonda nella foresta e lo ha prodotto a lume di candela. L'album è stato pensato per essere ascoltato tutto d'un fiato, in quanto si tratta di un rituale atto ad arrendersi al flusso del cosmo e a guardare dentro se stessi. La cantautrice ha persino dato indicazioni su come ascoltarlo:
XIXI, coerentemente col titolo, è composto da undici tracce, fra cui tre strumentali accompagnate da soli vocalizzi. La tracklist alterna brani elettronici, in maggioranza, e brani acustici. Personalmente avrei preferito ascoltare un mix più organico fra le due componenti, con più brani in grado di coniugare entrambe le anime, ma anche così com'è l'album funziona molto bene e lo stacco fra le due anime non risulta mai fastidioso. Questo è possibile anche grazie alla coerenza emotiva rinforzata dalla prevalenza di tonalità minori, atmosfere malinconiche e ritmi seducenti. Un altro elemento d'unione è la presenza, in vari brani, di campionamenti di suoni naturali registrati nella foresta. L'insieme di tutto ciò rende XIXI un album che, pur avendo melodie e strutture chiaramente pop, risulta quasi psichedelico e riesce a trasportare in stati mentali sognanti e nostalgici. Il grande elemento di originalità di quest'album sta proprio nel modo in cui bilancia accessibilità e potenza emotiva, orecchiabilità e "atmosfericità", cullando l'ascoltatore in un delicato e insieme travolgente fiume di seta liquida.
La tracklist non presenta filler: ogni brano è di alta qualità ed è utile per l'economia musicale dell'album. Dopo l'evocativa intro "Noumenia", si parte col botto con "Purify", che colpisce con le sue melodie vocali soffuse e la sua elettronica downtempo quasi ipnotica. Poi "Wide Awake" percorre la strada della trap più raffinata e melodica, con dei caratteristici beat singhiozzati, mentre le linee vocali risultano molto sensuali. Chiude il trio "Fade to Blue", che è il brano più orecchiabile del lotto grazie alle sue melodie più varie e cantabili, meno incentrate sull'elemento atmosferico e sostenute da una sezione strumentale con elettronica meno invadente e un uso emozionante degli archi. Il mio brano preferito dell'album credo sia proprio quest'ultimo, anche grazie all'ottimo testo, ma è una bella gara.
Si prosegue con "Somnia", una traccia pianoforte-e-vocalizzi orecchiabile ed emotiva che si tuffa nella struggente ballad "All I Need". Si ritorna all'elettronica con l'ottima "Don't Let Me Go", il cui ritornello mostra una fragile e saturnina emotività, che diventa quasi erotica nella coda strumentale. Invece "Holy", pulsazione dopo pulsazione, sviluppa una tensione oscura e discreta, elegante e insieme perversa. Torniamo agli accompagnamenti acustici con la chitarra di "Still the Air", che ha melodie molto efficaci, inquiete e insieme riflessive. "Let Go", anch'essa alla chitarra, si nutre poi di riuscite stratificazioni vocali.
Il brano meno immediato e pop è posto in chiusura: si tratta di "XIXI". Questo, lungo undici minuti e undici secondi, è divisibile in quattro parti: la prima è composta da vocalizzi riverberati retti da lugubri accordi di pianoforte, la seconda da suoni ambientali notturni (il fruscio del vento fra gli alberi, il frinire dei grilli in lontananza...), la terza da un arpeggio di un cordofono etnico e l'ultima da vocalizzi etnici, forse d'ispirazione greca, con una campana tibetana in sottofondo.
Le tematiche riguardano la paura di innamorarsi ("Let Go") e la necessità di correre il rischio di farlo ("Purify"), la dipendenza reciproca ("All I Need"), la meditazione ("Wide Awake", "Holy"), l'ipocondria legata alla paura di addormentarsi ("Don't Let Me Go"), l'osservazione della luna nuova ("Noumenia") e piena ("XIXI"), la consapevolezza di quanto siano effimere le belle cose e della necessità di godersi a pieno una notte con la persona amata prima che tutto svanisca nell'alba ("Fade to Blue"). I messaggi credo siano stati ben veicolati anche attraverso le scelte musicali, che alla fine di questo viaggio meditativo si insinuano nella mente dell'ascoltatore.
XIXI non è perfetto e gli manca quel capolavoro in grado di sconvolgere gli ascoltatori, ma resta un'esperienza intensa che vale la pena vivere visceralmente. Questo è un album che incorpora le caratteristiche del pop, ossia orecchiabilità e immediatezza, ma ne sfida i confini attraverso la ricerca di un linguaggio personale e intimo. Qualcuno potrebbe contestare a Roniit la poca versatilità vocale, ma in XIXI i falsetti e i sussurri sono stati accentuati coerentemente con gli scopi musicali dell'opera; inoltre non mancano passaggi a voce piena, per quanto delicati, laddove necessari.
L'album colpisce ancora di più pensando che Roniit ha scritto i testi e le musiche interamente da sola, con la sola eccezione di "Let Go", scritta assieme a Justin Taylor Phillips. La cantautrice si è occupata anche del pianoforte e della chitarra acustica, ed è inoltre la produttrice unica di quattro tracce e quella principale delle restanti, co-prodotte da James Ruehlmann. A quest'ultimo si deve anche la pulizia sonora dell'album, essendosi occupato del missaggio e del mastering.
«Non ho creato questa musica per essere ciò che ascolti in sottofondo a una festa. [...] Ascolta al buio! Ascolta al buio! Ascolta al buio! Chiudi gli occhi, ascolta te stesso! Lasciati viaggiare, lasciati esprimere! Medita, balla, fai sesso con questa musica! Tutto quello che vuoi. Ascolta al buio!»Io spesso ho violato questi ordini, ad esempio ascoltando XIXI di giorno pulendo casa o correndo in un parco, ma quando possibile mi sono immerso totalmente in questo "rituale musicale". In particolare, ho ascoltato l'album in una vasta gamma di situazioni: nella vasca da bagno, con la sola luce di qualche candela profumata; a letto, di notte, dopo aver fumato erba; guardando effetti psichedelici attraverso un visore della realtà virtuale dopo aver assunto una microdose di LSD; facendo sesso al buio mentre bruciava dell'incenso; facendo meditazione mindfulness. A voi consiglio di ascoltarlo, se possibile, in alta qualità, con delle buone cuffie e una scheda audio esterna, giacché stavolta la produzione è rifinita e si basa su suoni dalla texture avvolgente e intensa.
XIXI, coerentemente col titolo, è composto da undici tracce, fra cui tre strumentali accompagnate da soli vocalizzi. La tracklist alterna brani elettronici, in maggioranza, e brani acustici. Personalmente avrei preferito ascoltare un mix più organico fra le due componenti, con più brani in grado di coniugare entrambe le anime, ma anche così com'è l'album funziona molto bene e lo stacco fra le due anime non risulta mai fastidioso. Questo è possibile anche grazie alla coerenza emotiva rinforzata dalla prevalenza di tonalità minori, atmosfere malinconiche e ritmi seducenti. Un altro elemento d'unione è la presenza, in vari brani, di campionamenti di suoni naturali registrati nella foresta. L'insieme di tutto ciò rende XIXI un album che, pur avendo melodie e strutture chiaramente pop, risulta quasi psichedelico e riesce a trasportare in stati mentali sognanti e nostalgici. Il grande elemento di originalità di quest'album sta proprio nel modo in cui bilancia accessibilità e potenza emotiva, orecchiabilità e "atmosfericità", cullando l'ascoltatore in un delicato e insieme travolgente fiume di seta liquida.
La tracklist non presenta filler: ogni brano è di alta qualità ed è utile per l'economia musicale dell'album. Dopo l'evocativa intro "Noumenia", si parte col botto con "Purify", che colpisce con le sue melodie vocali soffuse e la sua elettronica downtempo quasi ipnotica. Poi "Wide Awake" percorre la strada della trap più raffinata e melodica, con dei caratteristici beat singhiozzati, mentre le linee vocali risultano molto sensuali. Chiude il trio "Fade to Blue", che è il brano più orecchiabile del lotto grazie alle sue melodie più varie e cantabili, meno incentrate sull'elemento atmosferico e sostenute da una sezione strumentale con elettronica meno invadente e un uso emozionante degli archi. Il mio brano preferito dell'album credo sia proprio quest'ultimo, anche grazie all'ottimo testo, ma è una bella gara.
Si prosegue con "Somnia", una traccia pianoforte-e-vocalizzi orecchiabile ed emotiva che si tuffa nella struggente ballad "All I Need". Si ritorna all'elettronica con l'ottima "Don't Let Me Go", il cui ritornello mostra una fragile e saturnina emotività, che diventa quasi erotica nella coda strumentale. Invece "Holy", pulsazione dopo pulsazione, sviluppa una tensione oscura e discreta, elegante e insieme perversa. Torniamo agli accompagnamenti acustici con la chitarra di "Still the Air", che ha melodie molto efficaci, inquiete e insieme riflessive. "Let Go", anch'essa alla chitarra, si nutre poi di riuscite stratificazioni vocali.
Il brano meno immediato e pop è posto in chiusura: si tratta di "XIXI". Questo, lungo undici minuti e undici secondi, è divisibile in quattro parti: la prima è composta da vocalizzi riverberati retti da lugubri accordi di pianoforte, la seconda da suoni ambientali notturni (il fruscio del vento fra gli alberi, il frinire dei grilli in lontananza...), la terza da un arpeggio di un cordofono etnico e l'ultima da vocalizzi etnici, forse d'ispirazione greca, con una campana tibetana in sottofondo.
Le tematiche riguardano la paura di innamorarsi ("Let Go") e la necessità di correre il rischio di farlo ("Purify"), la dipendenza reciproca ("All I Need"), la meditazione ("Wide Awake", "Holy"), l'ipocondria legata alla paura di addormentarsi ("Don't Let Me Go"), l'osservazione della luna nuova ("Noumenia") e piena ("XIXI"), la consapevolezza di quanto siano effimere le belle cose e della necessità di godersi a pieno una notte con la persona amata prima che tutto svanisca nell'alba ("Fade to Blue"). I messaggi credo siano stati ben veicolati anche attraverso le scelte musicali, che alla fine di questo viaggio meditativo si insinuano nella mente dell'ascoltatore.
XIXI non è perfetto e gli manca quel capolavoro in grado di sconvolgere gli ascoltatori, ma resta un'esperienza intensa che vale la pena vivere visceralmente. Questo è un album che incorpora le caratteristiche del pop, ossia orecchiabilità e immediatezza, ma ne sfida i confini attraverso la ricerca di un linguaggio personale e intimo. Qualcuno potrebbe contestare a Roniit la poca versatilità vocale, ma in XIXI i falsetti e i sussurri sono stati accentuati coerentemente con gli scopi musicali dell'opera; inoltre non mancano passaggi a voce piena, per quanto delicati, laddove necessari.
L'album colpisce ancora di più pensando che Roniit ha scritto i testi e le musiche interamente da sola, con la sola eccezione di "Let Go", scritta assieme a Justin Taylor Phillips. La cantautrice si è occupata anche del pianoforte e della chitarra acustica, ed è inoltre la produttrice unica di quattro tracce e quella principale delle restanti, co-prodotte da James Ruehlmann. A quest'ultimo si deve anche la pulizia sonora dell'album, essendosi occupato del missaggio e del mastering.
Ora che finalmente Roniit è maturata, credo che da lei sia lecito aspettarsi grandi cose. A tal proposito, segnalo che il 27 agosto 2021 uscirà il suo nuovo album, Bloom. Nel frattempo consiglio l'ascolto di XIXI, e del resto della discografia della cantautrice, a chi apprezza Billie Eilish, Banks, Lana Del Rey, Phildel, gli Echos e i Massive Attack.
Michele Greco